Aldo Moro, un sequestro ampiamente annunciato

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Di Santi Maria Randazzo

Giovanni Fasanella nel suo libro” Il Puzzle Moro” riferisce dell’informazione recepita dal colonnello Stefano Giovannone, capocentro SISMI di Beirut, da parte di un suo contatto, un rappresentante del Fronte Popolare Per La Liberazione Della Palestina, che lo aveva avvertito che le B.R. assieme ad organizzazioni terroristiche di paesi diversi avessero discusso di un progetto terroristico che avrebbe potuto coinvolgere l’Italia con il rapimento di un importante uomo politico italiano. La medesima informazione era stata intercettata, come accertò successivamente il giudice Priore, da almeno otto servizi segreti internazionali di rango. Giovannone allertò il SISMI di Roma il 17 febbraio 1978 ma, secondo quanto rilevabile dagli atti esaminati la commissione d’inchiesta parlamentare: “[…] non risulta alcuna attività di intelligence degna di questo nome. Né prima del sequestro, per tentare di impedirlo. Né dopo, per aiutare la magistratura a individuarne tutti i responsabili e a ogni livello, in Italia e all’estero. (1)

Moro viene sequestrato dalle Brigate Rosse il 16 marzo 1978 e viene fatto trovare, cadavere, il 9 maggio 1978 in via Michelangelo Caetani. Dove fu tenuto Moro durante i 55 giorni della sua prigionia e in quale altro luogo oltre che in via Montalcini e nel covo brigatista di via Gradoli: se veramente Moro fu tenuto prigioniero in via Gradoli e quali furono gli eventuali motivi per cui Moro venne spostato o i motivi per cui si ebbe interesse a far credere ciò? Erano diversi i luoghi in cui Moro fu tenuto prigioniero all’indomani del 10 aprile rispetto al luogo in cui venne gestita la correzione, copiatura e fotocopiatura dei verbali degli interrogatori di Moro e delle sue lettere o rispetto al luogo sede della cabina di regia del sequestro?

Per cercare di capire alcuni misteri di questa vicenda proviamo ad esaminare analiticamente alcuni elementi contestuali che hanno caratterizzato le varie fasi del sequestro, rilevabili dalla lettura di alcuni testi e articoli pubblicati sul caso Moro, dai quali emergono dei particolari che non permettono di escludere la possibilità che Aldo Moro sia stato tenuto prigioniero in almeno due luoghi diversi per motivazioni che potrebbero ricondurre ad una “ Cabina di Regia” che ha gestito il sequestro e la carcerazione di Aldo Moro. Vediamo di documentare alcuni elementi che potrebbero permetterci di avanzare ipotesi credibili.

Nel suo libro” Il Memoriale Della Repubblica”, Miguel Gotor nel riportare le conclusioni a cui era giunto un gruppo di esperti che avevano analizzato le caratteristiche grafiche della scrittura di Moro evidenziava come gli stessi avevano affermato che: “ L’analisi della scrittura di Moro ha consentito di affermare con sufficiente sicurezza che il prigioniero ha redatto una prima parte del memoriale, quella corrispondente all’interrogatorio, servendosi di un comodo tavolo da lavoro come piano d’appoggio e un’altra parte, nel corso di una fase di transizione che può essere orientativamente datata nella settimana successiva al 18 aprile 1978, poggiando i fogli sulle ginocchia, in una situazione logistica mutata, di maggiore costrizione o impedimento.” (2) La diversa caratteristica grafica delle due tipologie di condizioni logistiche in cui vennero realizzati gli scritti sono, evidentemente, riconducibili a due diversi ambienti in cui tali scritti vennero redatti, così come diversa era la condizione del prigioniero Moro e le condizioni in cui dovette realizzare i suoi scritti. Il covo di via Gradoli venne scoperto il 18 aprile 1978, ma fino a quale data Moro venne tenuto prigioniero lì, se veramente vi fu tenuto prigioniero? Che Moro sia stato tenuto prigioniero in via Gradoli ne ha dato certezza una dichiarazione di Tina Anselmi, acquisita alla documentazione audiovisiva della commissione d’inchiesta presieduta da Giuseppe Fioroni, che ha affermato: ”Sì, a via Gradoli c’era una prigione di Aldo Moro”. (3) Rimane da capire se la prigione di Moro di cui parlò Tina Anselmi corrispondesse all’appartamento in cui risiedeva Moretti fino alla sera precedente la sua scoperta in seguito ad una volontaria perdita d’acqua o no. La dichiarazione di Tina Anselmi, che lei ritenesse corrispondesse a ciò che tutti sapevano, potrebbe non essere una fonte certificante di tale circostanza; qualcuno si è chiesto per quale motivo le B.R. avessero scelto di tenere Moro in quella che è stata chiamata “La via dei servizi” e nella quale altri covi erano e saranno successivamente scoperti. La dinamica che portò alla scoperta del covo delle B.R. in via Gradoli fa sorgere qualche perplessità sulle finalità di quella provocata scoperta che non permettono di escludere l’ipotesi che sia stata provocata appositamente per poter indurre a concludere che proprio lì fosse stato tenuto prigioniero Moro e non, magari, in un luogo lì vicino.

Per tentare di dare una risposta, anche solo in via ipotetica, a tale quesito vediamo se possiamo proficuamente utilizzare altre notizie ricavabili dalla letteratura sul caso Moro. Appare rilevante sottolineare come nella dinamica comunicativa utilizzata dai brigatisti verso le Istituzioni, si manifestò in modo evidente la volontà e l’esigenza di dimostrare che coloro che pubblicizzavano i comunicati erano anche gli stessi che detenevano prigioniero Moro; cosa che dimostravano allegando scritti autentici di Moro per evitare che “altri” si potessero accreditare come coloro che lo tenevano prigioniero e che potessero inviare comunicati o richieste a nome delle Brigate Rosse. Tale dinamica comunicativa ha una soluzione temporale, un limite temporale “post quem” che può essere datato dal 10 aprile al 18 aprile. A partire da tale data, 10 aprile, nei comunicati le B.R.: “[…] non fecero più alcun riferimento diretto o indiretto al contenuto delle lettere del prigioniero e pertanto a partire dal 15 aprile [data del comunicato B.R. successivo al comunicato del 10 aprile], venne meno la certezza che chi scriveva avesse anche l’immediata disponibilità della parola di Moro e quindi del corpo del prigioniero.” (4)

Per meglio cercare di comprendere le motivazioni di questi cambiamenti nella gestione del sequestro Moro dobbiamo considerare due elementi: che è opinione condivisa che il covo di via Gradoli fu fatto scoprire intenzionalmente dalle B.R. e che è accertato che il brigatista Moretti vi dormì fino alla sera precedente. Rimangono da chiarire le reali motivazioni per cui il giorno successivo, 19 aprile, venne diramato il falso comunicato che indicava la presenza del cadavere di Aldo Moro nel Lago Della Duchessa, comunicato che qualcuno addebita al cosiddetto “Noto Servizio”: tale falso comunicato di fatto costrinse inquirenti e forze dell’Ordine ad occuparsi prioritariamente della ricerca del cadavere di Moro: se tale ipotesi risultasse vera sarebbe lecito chiedersi quale ruolo abbia giocato il “Noto Servizio” nel sequestro Moro, per ordine di chi e per quali fini. Il falso comunicato sul Lago Della Duchessa fu confezionato, secondo Gotor, da Antonio Giuseppe Saturnino Chicchiarelli, detto Tony, che sarà anche l’autore del depistaggio, tramite fogli che si volevano attribuire alle B.R., tentato con il “casuale ritrovamento” di un borsello il 14 aprile 1979 a Roma. (5) Sarà il senatore ed ex Magistrato Vitalone, il 10 maggio 1993 nel corso del processo per l’uccisione di Pecorelli, ad autoaccusarsi di avere promosso lui l’invio del falso comunicato ma solamente, secondo quanto da lui dichiarato, al solo scopo di provocare una risposta delle B.R. per avere certezza dell’esistenza in vita di Moro. (6)

Senza entrare nel merito di quanto affermato da Vitalone, sarebbe interessante capire in quale contesto sia stato deciso l’invio del falso comunicato e quali collegamenti diretti o tramite altri avessero permesso a Vitalone di attivare Tony Chicchiarelli, a sua insaputa. Su tale episodio vi sono le dichiarazioni del consulente statunitense Steve Pieczenik che in un suo libro ha scritto che l’espediente del comunicato fu discusso “[..] con Cossiga e con alcuni esponenti dei servizi segreti di cui si fidavano, tra i quali il criminologo Franco Ferracuti, oggi deceduto.” (7)

Per contestualizzare più estesamente il quadro in cui si inserisce la vicenda Moro, è opportuno ricordare come nel medesimo arco temporale si collocano le vicende relative allo scandalo Italcasse, di cui parla Moro durante i suoi interrogatori, agli articoli pubblicati da Mino Pecorelli su tale vicenda ed alla sua uccisione, al processo per il Golpe Borghese, al ruolo giocato dalla P2 e da Gelli nel caso Moro. Sempre Pecorelli, che dimostrò più volte di essere perfettamente informato, in un articolo pubblicato il 24 ottobre 1978 dal titolo” Caso Moro: Memoriali veri e memoriali falsi, gioco al massacro”, che riprendeva un articolo similare pubblicato il 17 ottobre, affermava l’esistenza di 150 fogli extrastrong vergati con calligrafia simile a quella di Moro; dodici anni dopo i fogli trovati in via Monte Nevoso sarebbero stati 245 e non 150: erano tutti e 245 autentici? (8) Chi furono i soggetti che in prima persona o per il tramite di Moretti condussero l’interrogatorio di Aldo Moro, imputato nella “Prigione Del Popolo” e quali furono le altre formazioni che collaborarono per decidere quali domande porre a Moro?

Per cercare di rispondere a questa domanda iniziamo col citare le dichiarazioni di Claudio Signorile nell’audizione della Commissione Parlamentare d’inchiesta fatte in data 20 aprile 1999. In quella occasione Signorile ebbe a dichiarare “[…] di ritenere che la selezione delle domande dell’interrogatorio di Moro non venne compiuta solo da Moretti, bensì da un < volto collettivo>, ossia da una pluralità di soggetti esterni di cui il leader brigatista si fece tramite e interprete.” (9) Le dichiarazioni di Signorile furono confermate” […] dal brigatista dissociato Massimo Cianfanelli, il quale ha deposto davanti alla magistratura nel 1982 che Gallinari o Seghetti gli avevano riferito come Prima Linea avesse fatto pervenire delle domande da porre a Moro e si fosse espressa a favore dell’uccisione dell’ostaggio.” (10)

Gli interrogatori di Moro che diverse fonti giornalistiche e letterarie sostengono siano stati registrati in delle cassette audiovisive, secondo un articolo pubblicato sul periodico “Il Borghese” del 17 febbraio 1985, sarebbero state secretate dai servizi segreti in quanto “avrebbero messo in dubbio l’identità di coloro che portarono a termine l’operazione.” (11) Rispetto alla cabina di regia che avrebbe gestito il sequestro di Moro appare utile quanto affermato da Morucci il 16 dicembre 1993 al giudice Antonio Marini, allorché disse” […] di essere stato informato da Moretti che il comitato esecutivo si riuniva, durante il sequestro, a Firenze.” (12)

Acclarato il ruolo di Senzani ai vertici delle B.R. è assolutamente condivisibile l’analisi fatta da Gotor rispetto alla composizione tecnico-professionale dei componenti la cabina di regia del sequestro Moro, che permette di superare logicamente le contraddizioni emerse in seguito alle varie e difformi dichiarazioni dei brigatisti e fornisce utili indicazione per individuare le finalità strategiche della gestione del sequestro, e che di seguito viene riportata:” Il quadro generale, invece, almeno per quanto riguarda la gestione e la finalità degli scritti di Moro durante e dopo il rapimento, diventerebbe improvvisamente realistico e persuasivo, ipotizzando una serie di competenze, fra cui, su tutte, quelle di un criminologo e di un filologo del terrore, in più imparentati fra loro, in grado, da Firenze e da Rapallo, già durante il sequestro, di gestire la complessa vicenda delle lettere e degli interrogatori del prigioniero. Peraltro è stato Moretti a dichiarare più volte di aver fatto la spola tra Roma e quelle due località nel corso dei cinquantacinque giorni. Solo delle menti e degli occhi attrezzati sul piano filologico e criminologico, perfettamente consapevoli che un testo non è solo il suo contenuto, ma il codice e la forma con cui è trasmesso, avrebbero potuto spostare il dattiloscritto su Taviani dal blocco dei dattiloscritti per occultare il processo di formazione della scrittura di Moro. Soltanto quanti erano perfettamente consapevoli della manipolazione subita da quei testi, ossia della differenza tra l’originale distribuito il 10 aprile 1978 e il dattiloscritto ricavato da un altro manoscritto comparso.” (13)

Bibliografia:

  1. Giovanni Fasanella – Il Puzzle Moro – Ed. Chiarelettere – Milano, 2018 – pp. 281-282.
  2. Miguel Gotor -Il Memoriale Della Repubblica – Einaudi, Torino 2020 – pp. XII-XIII.
  3. Redazione Adnkronos – 1novembre 2021, ore 15.18. _ “Il Fatto Quotidiano” del 2 novembre 2016.
  4. Miguel Gotor – cit., p.42.
  5. Miguel Gotor – cit., p. 290 e p. 301.
  6. Miguel Gotor – cit., p. 302.
  7. Miguel Gotor – cit., p. 303.
  8. Miguel Gotor – cit., p. 219.
  9. Miguel Gotor – cit., pp. 331 e 399.
  10. Miguel Gotor – cit., p. 331.
  11. Miguel Gotor – cit., p. 387.
  12. Miguel Gotor – cit., pp. 428 e 460.
  13. Miguel Gotor – cit., p. 450.

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